E’ finito il tempo delle Veneri – vedere oggi il corpo della donna

La donna deve essere bella, specialmente al giorno d’oggi. Deve essere bella se vuole sperare di trovare marito, se vuole essere accettata da chi le sta attorno, e deve rassegnarsi al fatto che piacere a se stessa coincida in modo piuttosto preciso col piacere agli altri. In modo più o meno diretto, più o meno avvertito, questa è la pressione cui ci sottopone la società dell’immagine: la pubblicità è il principale veicolo di diffusione dell’ideale cui aspirare, della bellezza giusta, fatta di fianchi stretti e gambe lunghe, visi puliti e regolari, seni non troppo grandi ma nemmeno troppo piccoli, glutei sodi e capelli lucenti.

Ogni epoca ha avuto il suo ideale di bellezza, tramandatoci dall’arte in cui si è concretizzato in maniera più o meno manifesta, a seconda delle epoche storiche e delle esigenze figurative del periodo. A partire dalle tondeggianti veneri preistoriche in cui la bellezza emerge come strettamente legata alla fecondità e all’abbondanza, ai moderati profili e i fisici a colonna della statuaria egizia, fino alla bellezza per antonomasia delle Veneri greche, divinità perfette dalle forme morbide ed eleganti.

Oggi, il compito di stabilire il canone non è più affidato all’arte, ma alla televisione. Le immagini belle sono quelle della pubblicità e del cinema. Lì vediamo la bellezza standard, satinata e impeccabile, con cui bisogna ogni giorno fare i conti.

All’arte quindi cosa rimane, se non la nostalgia di una bellezza ideale che non ha più senso rappresentare?

Ho scelto come portavoce dello Stato dell’Arte due artiste che rappresentano in modo molto diverso il corpo, con particolare attenzione a quello femminile. I loro approcci sono diametralmente opposti, ma rispondono entrambi a un bisogno: quello di mettere in luce le contraddizioni e le costrizioni della società contemporanea occidentale.

Jenny Saville è una pittrice inglese nata nel 1970. I suoi soggetti risentono evidentemente degli influssi della pittura di Lucian Freud e di Egon Schiele, deformati e grotteschi, sono tutto il brutto di cui si preferisce non parlare ma che di fatto è la quotidianità. Affascinata dalle masse debordanti e dagli aspetti morbosi legati al corpo, non disdegna di dipingere anche parti sanguinanti o deformate. La sua tendenza ad esasperare il dettaglio deforme rispecchia, quasi per contrappasso, la tendenza opposta dei media a livellare l’immagine su uno standard di bellezza pacata. La pittura di Saville dice che in fondo siamo solo dei pezzi di carne, ma racconta al contempo tutti i travagli legati al rapporto con la propria carne.

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Jenny Saville, Branded, 1992

 

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Jenny Saville, Plan, 1993. Spesso Saville traccia sui suoi soggetti segni che rimandano a interventi chirurgici, quale la liposuzione.
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Jenny Saville, Prop, 1999
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Jenny Saville, Matrix, 1999. Il soggetto presenta un’evidente ambiguità di genere,altro tema caro all’artista.

 

Lee Price, al contrario ci rassicura con immagini color pastello ambientate negli spazi domestici. Il soggetto è sempre lo stesso: l’artista, spesso nuda, intenta a mangiare le più golose schifezze. Maestra dell’iperrealismo, la pittura così realistica che sembra finta, ama giocare con la superficie trasparente dell’acqua della vasca da bagno. Le sue immagini giocano sul contrasto tra desiderio e realtà: tutte le donne vorrebbero ingozzarsi di gelato, ma non tutte osano farlo perchè c’è il problema della linea; il piccolo dramma quotidiano è rappresentato in idilliaci quadri colorati immersi in un’atmosfera onirica. Price crea la irrealtà, dipingendo scene che non possono avverarsi se non nella fantasia con una tecnica così realistica  da risultare quasi disturbante.

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Lee Price, Self Portrait in Tub with Chinese Food, 2007-2009
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Lee Price, Ice-Cream II, 2010-2012
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Lee Price, Sunday, 2007-2009

 

Jenny Saville e Lee Price dimostrano tre cose: 1. La pittura non è morta, come spesso erroneamente crede chi si approccia all’arte contemporanea, ma vive ancora di immagini e tecnica; 2. L’arte non può più essere bellanon solamente. La Venere di Milo oggi non avrebbe senso, e chi si limita a rimpiangere l’armonia e la bellezza classiche rinuncia a capire non solo il senso del suo tempo, ma il senso dell’arte; 3. Esistono alternative al mondo perfetto della pubblicità, e di queste alternative non bisogna vergognarsi.

 

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