Storia del gabinetto d’arte e di come Maurizio Cattelan proverà a metterle fine

Era il 1917, e nello studio di Marcel Duchamp nasceva una delle opere d’arte più influenti dello scorso secolo, che ancora oggi non smette di esercitare il suo fascino. Si tratta di Fontana, il famoso orinatoio rovesciato firmato R. Mutt che quell’anno non viene degnato dell’ammissione al Salone degli Artisti Indipendenti di New York; solo  Alfred Stieglitz ha il coraggio di esporlo nella sua galleria, in cui scatta la storica foto prima che l’opera vada persa, o distrutta, o acquistata, o non si sa bene com’è andata poi la storia.

Fatto sta, che ad oggi Fontana non esiste più se non in repliche autorizzate e nell’immaginario collettivo. Forse proprio come emblema dell’arte degenerata e del lo potevo fare anche io, nonostante quell’opera abbia ormai cent’anni di età e nonostante l’arte ne abbia fatti di passi da allora. Fontana è stata semplicemente l’apripista di una nuova visione dell’arte, non giusta, non sbagliata – nuova.

Fontana ci dice che, in fondo, chiunque può essere artista; che la poesia può stare anche negli oggetti più scontati (e diciamocelo, più sozzi), se solo si sa guardare al di là della loro funzione; che un atto di volontà può nobilitare anche un gabinetto; e infine, che non sempre è strettamente necessario prendersi sul serio.

Se immaginiamo che fino agli inizi del ‘900 le aspirazioni dell’arte non andavano oltre le grosse tele romantiche o, al massimo, alle pitture degli impressionisti, non possiamo ignorare la portata dell’opera di Duchamp.

Non l’hanno ignorata per forza di cose gli artisti che sono arrivati poi, a partire da quelli che hanno provato – e a volte sono riusciti – a restituire a Fontana la sua funzione originaria, evacuando proprio in mezzo a qualche museo.

La omaggia Claes Oldenburg, con la Toilette molle che altro non è se non una scultura senza forma, ma che indubbiamente è un gabinetto. Un’opera che vive dello spirito del suo tempo (è datata 1966) nella plastica lucida e sgargiante, ma che al contempo ci ricorda di chi è figlia.

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Claes Oldenburg, Soft Toilet, 1966. Materiali vari (vinile riempito di kapok, dipinto con colori acrilici Liquitex e legno)

Sherrie Levine, nel 1991, fa di meglio, e realizza una Fontana in bronzo, come fosse una scultura classica. Non più un oggetto prodotto in massa e proclamato scultura (ready-made), ma un’opera ad hoc. Non più un orinatoio, ma la rappresentazione artistica di tutto ciò che quell’orinatoio ha provocato.

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Sherrie Levine, Fountain (after Marcel Duchamp: A.P.), 1991. Bronzo

Scrive Bonami nel 2007: “Il ciclo completo del già fatto si potrà dire concluso quando qualcuno installerà l’orinatoio di Sherrie Levine in un bagno.

Questo accadrà l’anno prossimo, a New York, ad opera del più grande pranker contemporaneo.

Maurizio Cattelan installerà al Guggenheim, a partire dal 4 maggio, un gabinetto a 18 carati perfettamente funzionante (l’articolo su artnet news). I visitatori di passaggio nelle toilette del museo potranno usufruire dell’opera d’arte per espletare i propri bisogni.

Arte o provocazione? O forse solo un promemoria di quanto già affermato da Duchamp riguardo al prendersi troppo sul serio?

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Maurizio Cattelan, America, 2016. Oro 18 carati

 

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